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Approfondimenti - Il Tartufo
 

I tartufi sono funghi ipogei
(a crescita sotterranea) appartenenti al genere Tuber.


Come tutti i funghi sono sprovvisti di clorofilla e percio’‚ non possono elaborare le sostanze necessarie (zuccheri ed amidi) alla propria sopravvivenza. Per sopperire a cio’ si legano ad alcune specie di piante (alberi ed arbusti), producendo una relazione detta “simbiosi micorrizica”, dalla quale entrambi le parti acquisiscono vantaggi. Il tartufo vero e proprio è definito, “corpo fruttifero” ed è collegato alla pianta con una struttura vegetativa detta, “micelio”. Il corpo fruttifero vegeta sottoterra in prossimita’ del simbionte. Ha una forma globosa piu’ o meno irregolare, con pezzatura che varia dalle dimensioni di un cece a quella di una arancia. Esternamente è ricoperto da una scorza detta “peridio”; l’interno detto “polpa o gleba” contiene migliaia di “spore” che hanno funzione riproduttiva. Ogni specie di tartufo ha spore di forma, colore e dimensione diversa. Attraverso l’ausilio di un microscopio la classificazione della specie è relativamente semplice. Le spore, germinando, danno origine al micelio che oltre a collegare la pianta al tartufo, svolge la funzione di micorrizare i nuovi apici radicali incontrati nel terreno. A maturazione avvenuta, ogni specie di tartufo emette il proprio caratteristico odore e percio’ il cane addestrato puo’ individuarlo ed il tartufaio estrarlo.

La coltivazione di impianti specializzati per la produzione di tartufi è detta “tartuficoltura”. Grazie alle conoscenze fino ad ora acquisite sulla biologia del tartufo è possibile produrre artificialmente in vivaio piante micorrizate di buona qualita’, condizione fondamentale per la realizzazione di una “ tartufaia artificiale”.

La Raggi Vivai è una delle aziende leader del settore, produce da anni piante micorrizate “certificate” con i tartufi piu’ pregiati. L’Azienda dispone di una vasta gamma di tartufi e simbionti e di un apparato tecnico specializzato che permette una razionale ed adeguata progettazione dell’impianto proponendo, ai clienti, differenti soluzioni a seconda della vocazione dell’area interessata.

 

 

Tartufo - Cenni di micologia

 


Cenni di micologia
(riassunto)
Autore: D.ssa Francesca Baglioni (A.R.S.I.A. Toscana)
dal testo "I Tartufi in Toscana", 1998

I FUNGHI

I funghi sono particolari organismi caratterizzati dalla mancanza di clorofilla, un pigmento verde che consente alle piante che Io contengono, di sintetizzare, a partire dall'acqua e dall'anidride carbonica, le sostanze organiche di cui hanno bisogno (zuccheri, amido, cellulosa, etc.) mediante il processo della fotosintesi clorofilliana. Le piante verdi sono quindi organismi autotrofi, cioè in grado di nutrirsi in maniera autonoma (dal greco àutos = da sé e trofo = nutrirsi). I funghi, invece, essendo incapaci di operare la fotosintesi, od altre forme di sintesi di sostanza organica, sono organismi eterotrofi (dal greco éteros = altro e trofo = nutrirsi) cioè costretti per la loro nutrizione come gli animali e l'uomo, a prelevare le sostanze organiche da altri organismi. I funghi non vengono più annoverati fra i vegetali, ma vengono classificati in un proprio regno: il regno dei Funghi. I funghi vengono spesso chiamati "Crittogame", cioè organismi "a nozze nascoste", perchè è impossibile vedere i loro organi riproduttivi senza l'uso di strumenti microscopici. Da questo appellativo derivano alcuni termini di uso comune quali "malattie crittogamiche" e "anticrittogamici".
Molte volte vengono indicati anche con il termine di "Tallofite", insieme con alghe e batteri, a causa della mancanza di differenziazione del loro corpo ("tallo") in organi e tessuti, come avviene invece nelle piante superiori ("Cormofite").

Morfologia

L'organismo fungino è costituito da cellule allungate e filamentose, chiamate "ife", che nel loro complesso costituiscono il micelio. Le ife hanno dimensioni molto piccole, dell'ordine dei micron (millesimi di millimetro) ed è per questo che il micelio non risulta quasi mai visibile ad occhio nudo. Il micelio si accresce sul substrato per estensione apicale delle ife, che si allungano e si ramificano nelle diverse direzioni, facendo assumere alla colonia fungina la tipica forma circolare. E' in grado di svilupparsi su svariati tipi di substrato (terreno, legno, residui organici, etc.), dando talvolta origine ad aggregati visibili anche ad occhio nudo sotto forma di muffe o di feltri filamentosi di colore biancastro. Ad eccezione di casi particolari, è praticamente impossibile determinare un fungo soltanto dall'aspetto del micelio. Il riconoscimento delle varie specie avviene per lo più a livello di carpoforo, che si presenta in genere nella veste tipica del "fungo", cioè con gambo e cappello. Il carpoforo, o corpo fruttifero, rappresenta, come dice il nome, una sorta di "frutto" dell'organismo fungino. Se le condizioni ambientali sono favorevoli, infatti, ad un certo punto il micelio smette di accrescersi e produce questa struttura contenente i "semi" del fungo, cioè le spore, che una volta mature vengono diffuse nell'ambiente circostante e contribuiscono alla riproduzione della specie. Il carpoforo si può sviluppare sopra il terreno, come avviene nei funghi epigei, ai quali appartengono molte specie di funghi eduli come i porcini, le russule, le amanite, etc., oppure svilupparsi sotto terra, come avviene nei funghi ipogei ed in particolare nei tartufi. La quantità di spore contenute in un singolo corpo fruttifero è estremamente elevata ma la probabilità che siano presenti condizioni ambientali adatte alla loro germinazione ed allo sviluppo di nuovo micelio è molto bassa. Nella maggior parte dei funghi il corpo (tallo) è differenziato in una parte vegetativa che assolve a funzioni di nutrizione ed accrescimento, ed in una parte riproduttiva detta imenio. L'apparato vegetativo comprende il micelio e gran parte del corpo fruttifero; l'imenio costituisce la parte fertile del carpoforo e cioè quella che provvede a produrre gli elementi riproduttivi (spore). Queste differiscono anche molto fra di loro secondo la specie alla quale appartengono. Nella sottodivisione dei Basidiomiceti, le spore sono portate all'esterno di strutture dette basidi, situate sulla superficie esterna del corpo fruttifero (basidiocarpo). Nella sottodivisione degli Ascomiceti, le spore sono contenute all'interno di strutture a forma di sacco, dette aschi, portate da ife ascogene che si differenziano all'interno di corpi fruttiferi detti ascocarpi.


Micelio non settato (a sinistra) e
micelio settato (a destra).


Fungo epigeo (a sinistra) e
fungo ipogeo (a destra).


Nutrizione

Dal punto di vista nutrizionale i funghi si possono suddividere in:
a) Saprofiti: si nutrono di sostanza organica morta di origine animale o vegetale. Rivestono una notevole importanza nel ciclo della sostanza organica perché contribuiscono alla decomposizione ed alla mineralizzazione dei materiali organici con formazione di humus e successivamente di acqua e di sali minerali, che le piante possono assorbire. A questo tipo di funghi appartengono per es. i lieviti che operano la decomposizione degli zuccheri in alcool, i prataioli che si nutrono della sostanza organica presente nel terreno, i pleuroti che utilizzano la scorza ed il legno degli alberi morti, i coprini che vivono sugli escrementi degli animali.
b) Parassiti: si nutrono di sostanza organica prelevata da organismi vivi sia animali che vegetali, che non di rado sopprimono, continuando la loro azione disgregatrice come saprofiti; in questo modo estrinsecano una funzione ecologica di bioregolazione attaccando gli esemplari più deboli. La loro azione dannosa sugli organismi viventi si esplica attraverso la sottrazione di sostanze organiche e l'introduzione di tossine. Esempi di funghi parassiti sono la Peronospora e l'Oidio della vite, le aspergillosi dell'uomo, etc..
c) Simbionti: vivono in rapporto di simbiosi (dal greco: symb(osis = convivenza) con un altro organismo vivente. Un tipo particolare di simbiosi è la cosiddetta simbiosi micorrizica, un'associazione che si realizza fra un fungo e le radici di una pianta superiore, che comporta un vantaggio per entrambi gli organismi: il fungo preleva dalla pianta le sostanze organiche complesse necessarie al suo nutrimento e mette a disposizione della stessa l'acqua ed i sali minerali che riesce ad assorbire dal terreno, nonché altre sostanze utili. Il rapporto simbiontico si realizza a livello degli apici radicali: un apice radicale che ha contratto la simbiosi con un fungo prende il nome di micorriza.

Esistono tre tipologie di micorrize:

1) Le ectomicorrize:
in questo tipo di micorrize le ife del fungo rimangono esterne all'apice radicale della pianta, avvolgendolo completamente fino a formare un mantello di alcuni strati di cellule che prende il nome di micoclena; lo scambio di materiale nutritivo tra fungo e pianta avviene a livello di alcune ife che si spingono tra le cellule della radice (senza penetrarvi dentro) e formano una specie di reticolo detto "reticolo di Hartig". La radice micorrizata assume un aspetto rigonfio, simile ad una clava, evidente anche ad occhio nudo. Le ectomicorrize sono tipicamente diffuse fra le piante forestali.
2) Le endomicorrize: in questo caso le ife del fungo penetrano dentro le cellule radicali senza formare nessuna struttura esterna; la presenza delle micorrize non è infatti rilevabile ad occhio nudo. Soltanto al microscopio, sezionando la radice, si evidenzia la presenza del fungo perché all'interno delle cellule radicali dà origine a strutture simili ad un corpuscolo o ad un arbuscolo. Queste micorrize si riscontrano ad es. nelle orchidee.

Strutture riproduttive di basidiomiceti (a sinistra) e di asomiceti ( a destra).


Funghi saprofiti e parassiti.


3) Le ectoendomicorrize: presentano caratteristiche intermedie fra i tipi di micorrize sopraindicati; le ife del fungo penetrano nei primi strati di cellule della radice e formano anche un debole manicotto esterno. La presenza delle micorrize rappresenta una condizione essenziale per la produzione dei tartufi e di altri funghi eduli. La simbiosi micorrizica assicura alle piante un vantaggio indiscutibile in quanto garantisce loro un migliore assorbimento dell'acqua, attraverso la capillare esplorazione del terreno effettuata dalle ife del fungo ed una migliore assunzione di elementi minerali, in particolare di quelli meno mobili che il fungo è in grado di rendere disponibili per il metabolismo della pianta. Tutti i funghi micorrizici (non solo i tartufi) svolgono un ruolo ecologico importantissimo nel riciclo degli elementi nutritivi presenti nel terreno perché, grazie all'assorbimento che operano, riducono il rischio di una loro perdita per percolazione. Nei suoli forestali, tipicamente poveri, questo fenomeno assume un'importanza determinante. La maggiore capacità di assorbimento delle piante micorrizate si traduce, praticamente, in uno sviluppo superiore rispetto a quelle non micorrizate, e rende conveniente l'impiego di piante preventivamente micorrizate nei rimboschimenti. Inoltre quest'ultime risultano più resistenti agli eventuali attacchi di patogeni radicali, sia per la presenza della micoclena, che ostacola fisicamente l'ingresso dei parassiti, sia per la secrezione di antibiotici da parte delle radici micorrizate.


Funghi simbionti.


Schema della probabile evoluzione dei tartufi.

 

Riproduzione

I funghi si possono riprodurre per via asessuata o sessuata.
a) Riproduzione asessuata o agamica:
la riproduzione asessuata può avvenire per frammentazione del tallo o per spore agamiche, ovvero strutture appositamente costituite dal fungo a scopo riproduttivo. Appartengono a questa tipologia le clamidospore e i conidi.
b) Riproduzione sessuata o gamica: la germinazione della spora origina un micelio primario, normalmente monocariotico, e cioè con cellule che contengono un solo nucleo. Quando due miceti primari di polarità diversa, cioè provenienti da due spore diverse, si incontrano, si congiungono a formare un micelio secondario dicariotico, caratterizzato da cellule provviste di due nuclei.
La fusione dei due nuclei (cariogamia) nelle ife del micelio secondario avviene durante la formazione dell'asco o del basidio e viene immediatamente seguita dalla meiosi; successivamente con una o più divisioni mitotiche si arriva alla formazione delle spore, generalmente 4 nei basidiomiceti e 8 negli ascomiceti.

Classificazione sistematica

Il Regno dei Funghi viene suddiviso in due grandi gruppi (Divisioni):
a) MIXOMYCOTA: organismi con caratteristiche intermedie tra i funghi e i protozoi
b) EUMYCOTA: funghi veri, dotati di un tallo tipicamente filamentoso.
Gli Eumycota sono ulteriormente suddivisi in 5 sottogruppi (Sottodivisioni):
1) Mastigomycotina
2) Zygomycotina
3) Ascomycotina
4) Basidiomycotina
5) Deuteromycotina

Le più importanti sono le sottodivisioni Ascomycotina (ascomiceti) e Basidiomycotina (basidiomiceti).
Basidiomycotina: sono funghi le cui spore sessuate (basidiospore) sono portate all'esterno di strutture dette (basidi) situate sulla superficie esterna del corpo fruttifero (basidiocarpo). Appartengono a questa sottodivisione i principali funghi eduli come i boleti, le amanite, le russule, etc..
Ascomycotina: sono funghi le cui spore sessuate (ascospore) sono contenute all'interno di strutture a forma di sacco (aschi) che si differenziano all'interno dei corpi fruttiferi (ascocarpi). Appartengono a questa sottodivisione, oltre ai tartufi, anche altri funghi, come ad es. le morchelle.

I tartufi
Con questo nome vengono indicati i funghi appartenenti al genere Tuber; essi presentano un carpoforo ipogeo e vivono in un rapporto di simbiosi micorrizica con piante arboree ed arbustive.

Classificazione dei tartufi (Sec. Knapp)

Regno: Funghi
Divisione: Eumycota
Sottodivisone: Ascomycotina
Classe: Discomycetes - per la forma del loro corpo fruttifero (apotecio) simile ad una coppa
Ordine: Tuberales - per i carpofori sempre ipogei
Famiglia: Eutuberaceae - per la gleba soda a maturità e che emana un'aroma penetrante
Genere: Tuber
Specie: T. magnatum Pico, T. melanosporum Vitt., T. albidum Fico, T. aestivum Vitt., etc..
Il nome della specie normalmente fa riferimento ad una caratteristica peculiare del soggetto, ad es. T. melanosporum = tartufo dalle spore nere (dal greco: mélasanos = nero), T. macrosporum Vitt. = tartufo dalle spore grosse.


Corpo fruttifero di tartufo in sezione.

 

Morfologia e struttura

Come tutti i funghi anche i tartufi presentano una struttura vegetativa, rappresentata dal micelio ed una riproduttiva, costituita dal corpo fruttifero. Il micelio è visibile al microscopio ottico ed appare come un insieme di ife sottili, settate e molto ramificate. Il corpo fruttifero, estremamente caratteristico, rappresenta quello che nel linguaggio comune viene generalmente indicato come tartufo. Si tratta di un carpoforo ipogeo, che si sviluppa normalmente nel terreno ad una profondità variabile da pochi centimetri a 40-50 cm in prossimità della pianta simbionte e che a maturità emette un aroma penetrante e tipico, diverso secondo la specie. Ha una caratteristica forma globosa, tuberiforme e presenta un rivestimento esterno, detto pendio o scorza, ed una polpa interna detta gleba. Il pendio può essere liscio o verrucoso, cioè formato da sporgenze piramidali più o meno accentuate; il colore è variabile con le specie dal giallastro al bianco (nei tartufi "bianchi") o dal bruno al nero (nei tartufi "neri"). La gleba nel tartufo sano e maturo ha una consistenza carnosa e compatta, ed al taglio presenta un aspetto marmorizzato dovuto all'alternanza di venature più chiare e più scure dall'andamento sinuoso e più o meno sottili; le venature più chiare sono formate da ife sterili (parafisi), mentre le venature più scure sono costituite da ife fertili, e più precisamente dalle ife ascogene portanti gli aschi, cioè quegli involucri a forma di sacchettino che contengono le ascospore. Il colore, tipico per ciascuna specie, varia in funzione del grado di maturità del tartufo: più giovane è il tartufo e più la gleba è chiara, poi man mano che maturano le ascospore, si fanno sempre più spesse ed evidenti le venature scure. Le ascospore, come già indicato, rappresentano il mezzo di diffusione dei tartufi; esse sono contenute negli aschi in un numero variabile da 1 a 6 (tale numero varia in funzione della specie e, comunque, è variabile anche all'interno dello stesso carpoforo); sono di ridotte dimensioni (20-60 micron) e perciò visibili soltanto al microscopio. Sono dotate di una parete più o meno spessa, l'episporio, che presenta delle ornamentazioni caratteristiche, tipo alveoli od aculei. La lunghezza degli aculei, la loro forma e colore, la grandezza e la geometria degli alveoli e la loro disposizione, nonché la forma ed il colore delle spore, sono importanti caratteri diagnostici per il riconoscimento delle varie specie di tartufo. Le dimensioni dei carpofori possono variare indicativamente da quelle di una nocciola a quelle di una grossa arancia, raramente sono più grandi. La forma, così come la dimensione, dipendono anche dal tipo di terreno in cui si sviluppa il tartufo: se siamo in presenza di un terreno soffice si svilupperanno tendenzialmente carpofori grossi e ben conformati, mentre se il terreno è compatto ed argilloso i tartufi tenderanno ad essere più piccoli e irregolari. Sulle possibilità di sviluppo influisce anche, ovviamente, la disponibilità di acqua nel terreno, dato che tutti i funghi sono costituiti da questo composto per oltre il 70% del loro peso. In annate siccitose è normale raccogliere tartufi di dimensioni ridotte. Il caratteristico aroma emesso dal carpoforo maturo ha lo scopo di attrarre gli insetti ed altri animali che, cibandosene, contribuiscono alla diffusione delle spore: sviluppandosi infatti sotto terra, questo fungo non può disperderle facilmente come gli Ascomiceti epigei. E' inoltre accertato che le spore dei tartufi germinano con maggiore facilità dopo aver attraversato l'apparato digerente dell'animale che si è cibato del carpoforo. Pertanto l'aroma associato a tutte le specie di tartufo assume un importante ruolo biologico.

Spora alveolata con alveoli radi e di grandi dimensioni.

Spora aculeata.

Spora alveolata con alveoli piccoli e numerosi.


Ciclo biologico

Il ciclo biologico dei tartufi non è ancora del tutto conosciuto. Lo sviluppo sotterraneo non consente, infatti, di seguire con sicurezza le varie fasi di sviluppo. Gli unici studi in questo senso sono stati realizzati per il tartufo nero pregiato (Tuber metanosporum Vitt.) e da essi si può desumere uno schema generale valido anche per le altre specie. Per la descrizione del ciclo si ritiene opportuno partire dal carpoforo, che come si è già detto rappresenta il corpo riproduttivo del fungo in quanto contiene le ascospore, cioè gli organi preposti alla diffusione della specie. Il carpoforo maturo, contenente un elevatissimo numero di spore, se non è raccolto dall'uomo, rimane nel terreno e si decompone naturalmente per fenomeni di marcescenza o viene mangiato dagli animali (roditori, insetti, vermi, molluschi, nematodi, etc.). Le spore contenute dentro il carpoforo vengono così liberate nel terreno nel luogo dove il carpoforo è marcito o dove sono state trasportate dagli animali attraverso gli escrementi. In primavera, se le condizioni di clima e di terreno sono favorevoli, alcune ascospore riescono a germinare. L'induzione di questo fenomeno sembra dipendere anche dalle radici delle piante che, alla ripresa vegetativa, producono una maggiore quantità di essudati radicali. La germinazione dell'ascospora dà luogo ad un'ifa che accrescendosi via via apicalmente e ramificandosi, produce il micelio primario, un micelio uninucleato (costituito da cellule con un unico nucleo) geneticamente identico alla spora che l'ha prodotto. Il micelio primario si accresce insinuandosi nelle particelle del terreno e, se incontra un altro micelio primario derivante da un'ascospora diversa, questo si fonde con quest'ultimo originando un micelio (micelio secondario) caratterizzato da cellule che contengono ciascuna due nuclei geneticamente diversi tra di loro. Il micelio secondario è in grado di contrarre la simbiosi micorrizica. Se il micelio secondario del tartufo incontra un'apice radicale di una pianta simbionte "disponibile", cioè libero da altri funghi micorrizici, lo avvolge progressivamente con le sue ife fino a formare la micorriza (in particolare una ectomicorriza). Le radici interessate dalle ectomicorrize sono generalmente le radici secondarie, ricche di capillizio e specializzate nell'assorbimento delle sostanze nutritive dal terreno.


Sezione di un apice radicale micorrizato con il tartufo.

Ciclo biologico del tartufo (disegno a cura di A. Montanari e A. Zambonelli, tratto dalla rivista "Il divulgatore", periodico della provincia di Bologna).

 

Per formare la micorriza il fungo avvolge l'apice radicale fino a formare una sorta di guaina di alcuni strati di cellule (la micoclena); da questo mantello alcune ife penetrano negli spazi intercellulari dello strato più esterno della radichetta formando un reticolo, detto "reticolo di Hartig". Dalla micoclena si originano alcune particolari ife che si dirigono verso l'esterno, i cosiddetti cistidi, caratterizzati da un accrescimento definito e da una parete abbastanza spessa. Questi operano, insieme ad altre ife, l'assorbimento dell'acqua e dei sali minerali presenti nel terreno e, attraverso le ife del reticolo di Hartig, li trasferiscono alla pianta ospite. Contemporaneamente, attraverso le ife del reticolo di Hartig, il tartufo trae dalla pianta tutte le sostanze organiche necessarie per la propria sopravvivenza. L'apice radicale micorrizato cambia il suo aspetto, assume una forma clavata, perde i peli e spesso si ramifica: il fungo infatti stimola l'apice a produrre nuovi abbozzi di radichette laterali, che vengono inglobati dal mantello fungino. In seguito al continuo accrescimento di radichette micorrizate si formano dei veri e propri "glomeruli" di micorrize, come accade di frequente, per esempio, nei pini. Dalle micorrize si sviluppano poi nuove ife che vanno a colonizzare il terreno circostante ed anche le nuove radichette emesse dalla pianta o quelle di altre piante vicine. In condizioni pedoclimatiche poco favorevoli al tartufo, invece, possono prendere il sopravvento altri funghi micorrizici, con la conseguente diminuzione o scomparsa delle micorrize di tartufo. Il ciclo di attività delle micorrize segue quello della pianta: in primavera, con la ripresa vegetativa, le micorrize riprendono a crescere e continuano per tutta l'estate se le condizioni del terreno si mantengono favorevoli. All'arrivo dell'inverno le micorrize riducono l'attività metabolica per affrontare la stagione avversa e, quelle che riescono a superarla, alla primavera successiva riprenderanno il loro sviluppo. La formazione dei corpi fruttiferi nel terreno si realizza quando si verificano alcune condizioni:
- la pianta simbionte ha raggiunto la maturità fisiologica;
- nel terreno c'è una sufficiente carica di micorrize;
- le condizioni ecologiche sono favorevoli.
Solo allora le ife bloccano il loro accrescimento ed iniziano a formare il carpoforo. Le primissime fasi di formazione del carpoforo sono poco note, ma si ipotizza che inizialmente questo sia costituito da un intreccio globoso di ife (primordio o abbozzo del carpoforo) che si sono sviluppate a partire dalle micorrize. In questa fase, quindi, il tartufo è ancora collegato alla pianta simbionte (fase simbiontica). Da recenti studi condotti in Francia sul tartufo nero pregiato, emerge che questa specie di tartufo differenzia l'abbozzo del carpoforo già nel mese di maggio. Quando però l'ascocarpo raggiunge le dimensioni di i mm di diametro (circa 3 milligrammi di peso) presenta già la sua struttura caratteristica: pendio esterno e gleba costituita da vene sterili e vene fertili. A questo stadio, probabilmente, il tartufo si stacca dalla pianta, e inizia a vivere in maniera autonoma (fase saprofitica) assorbendo i nutrienti attraverso dei ciuffi di ife che partono dal pendio. Man mano che si accresce, aumentando di peso e di dimensioni, il tartufo si modifica: le vene sterili, all'inizio molto evidenti ed ampie, finiscono per diventare via via più sottili all'aumentare delle ascospore che si sviluppano nel tessuto fertile, più scuro. Quando la maturazione delle spore è completa il tartufo si decompone, e con la liberazione delle ascospore nel terreno, ricomincia il suo ciclo.

 

Tartufo - Ecologia del tartufo

 


TUBER MAGNATUM PICO (Tartufo bianco pregiato)

E' il Tartufo prodotto esclusivamente in Italia ed in misura minore in Istria. In Italia possiamo distinguere 2 aree principali : L'area Piemontese e Lombarda e l'area appenninica del centro Italia. Il terreno delle Tartufaie naturali di tuber magnatum, deriva da substrati composti da marne, calcari marnosi, marne argillose, arenarie prevalentemente dell'Era Terziaria ed in misura minore dell'Era Quaternaria. Il Tuber magnatum Pico predilige posizioni ombreggiate e fresche; perciò lo si trova prevalentemente nei fondo valle, nei boschi, lungo fiumi, torrenti, rigagnoli, fossi, raramente in piante isolate ed in posizioni soleggiate. Normalmente la tessitura dei terreni vocati varia dal franco al franco-sabbioso o franco-limoso, con uno scarso contenuto in argilla, comunque sempre soffici, drenati, con una buona porosità del suolo. Il Ph normalmente è alcalino o sub-alcalino, con un buon contenuto di calcare totale (valore medio 15-25 %), bassa è la dotazione di fosforo, mentre buono è il contenuto in calcio e potassio. Il tartufo bianco vegeta fino a 1000 metri, prediligendo altitudini medie da 100 a 700 metri; non tollera siccità estive prolungate; anzi, sembra che le precipitazioni estive condizionino la produzione dei tartufi. Piante simbionti: roverella, cerro, farnia, rovere, carpino nero, nocciolo, pioppo, salice, tiglio.

TUBER MELANOSPORUM VITTAD (Tartufo nero pregiato)


Il Tartufo nero pregiato ha un vasto areale di sviluppo in Europa, anche se le nazioni più vocate sono Italia, Francia e Spagna. In Italia le regioni più vocate sono comprese nella fascia appenninica centro-meridionale, più precisamente in: Umbria, Marche, Abruzzo, Lazio, Lucania, Calabria, in misura minore in Veneto, Trentino, Piemonte, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Molise ecc.... Si sviluppa in terreni calcarei dell'Era Secondaria e in misura minore in quelli appartenenti all'Era Quaternaria. Si tratta di terreni normalmente brecciosi, ben drenati, ricchi di carbonati di calcio. La tessitura e' normalmente ben equilibrata. La presenza di sostanza organica è normalmente bassa, così come bassi sono i valori di Azoto, Fosforo, Potassio, mentre buono è il contenuto in Ferro e Rame; il Ph varia da sub-alcalino ad alcalino. Il Tartufo nero pregiato si sviluppa ad altitudini comprese fra 100 e 1000 metri slm; non gradisce siccità prolungate nel periodo estivo (ottimali sono i 600/900 mm di precipitazioni medie annue). Le tartufaie naturali sono ubicate su altipiani, versanti collinari, in boschi non fitti, in piante isolate e comunque in posizioni ben soleggiate. Piante simbionti: roverella, leccio, cerro, carpino nero, nocciolo; secondariamente tiglio, cisto, rovere, farnia. Tipica è la presenza del pianello (cava) che rivela all'occhio la presenza del tartufo nero pregiato attorno alla pianta. La raccolta dei migliori tartufi è compresa nel periodo dicembre-marzo. I terreni delle tartufaie naturali, buone produttrici di tuber melanosporum, presentano sabbia, Iimo e argilla ben proporzionati con tessitura da franco sabbiosa a franco limosa, con buona presenza di scheletro, mai eccessivamente superficiali.

TUBER AESTIVUM VITT (Tartufo estivo o scorzone)


Il tartufo estivo si sviluppa su una grande quantità di terreni di differenti origini geologiche, poiché l'areale di crescita di questo tubero e' molto vasto (dall'Italia alla Spagna, fino agli Stati Baltici e Russia. A sud e' segnalato in alcuni Stati Nordafricani e Turchia). I terreni su cui vegeta hanno notevole variabilità; comunque sempre con un Ph alcalino o sub alcalino e un buon contenuto in calcare, di tessitura preferibilmente equilibrata e struttura soffice arieggiato. Vegeta, a differenza del Tuber melanosporum Vittad, anche in terreni con contenuti più alti di argilla pesanti e tenaci, ricchi anche di humus; teme i ristagni idrici. Dal punto di vista chimico, i terreni sono normalmente ben dotati di potassio, molto poveri di fosforo, sufficientemente dotati di Calcio. Il Tuber aestivum rimpiazza il tuber melanosporum a quote superiori a 800/1000 metri, tollera meglio la siccità estiva. Piante simbionti: Ad altitudini elevate è in simbiosi con roverella, rovere, faggio, carpino, nocciolo. Ad altitudini più basse è in simbiosi con farnia, roverella, leccio, carpino nero, pino, nocciolo. Le piante non simbionti, che però si ritrovano spesso nelle tartufaie sono: frassino maggiore, orniello, acero campestre, prugnolo, biancospino, sanguinello, sorbo domestico, ginepro. La raccolta dei tartufi di migliore qualità è compresa nel periodo agosto-settembre. I tartufi raccolti nei mesi di maggio, giugno hanno qualità organolettiche inferiori.

TUBER BORCHII VITTAD .


Si tratta di una specie dotata di notevole plasticità ambientale in grado di svilupparsi dal livello del mare fino ad oltre i 1000 metri di quota su svariate tipologie di terreni da quelli più sciolti e sabbiosi come quelli di pinete costiere a quelli collinari argillosi. Le specie simbionti più frequenti sono le querce (novelle, cerro, leccio), i pini quali il pinus pinea, il pinus pinaster e il pinus, il nocciolo, il pioppo bianco, il carpino nero.

TUBER UNCINATUM CHAT.


Si tratta di un tartufo simile allo scorzone, tuttora ci sono opinioni contrastanti circa l'appartenenza alla specie aestivum. Per alcuni si tratta di una specie sistematicamente distinta, per altri di una differente varietà, altri ancora sostengono che l'ambiente che permette la maturazione più tardiva. Spesso si sviluppa nella stessa zona del tartufo estivo. La raccolta avviene prevalentemente in zone più fresche con umidità costante tutto l'anno; infatti mal sopporta la siccità estiva e gradisce le esposizioni a mezzaombra e le altitudini più elevate. Si trova soprattutto in ambienti protetti dall'azione diretta dei raggi solari come valli profonde, e versanti esposti a Nord. Per quanto riguarda il suolo il tartufo uncinato gradisce terreni argillosi, calcarei, ma vegeta anche in suoli compatti purché non si verifichino ristagni idrici prolungati. Vegeta sulle stesse specie del tartufo estivo.

 

 

Tartufo - Aree tartufigene - Abruzzo

L'Abruzzo è sicuramente una delle Regioni leader per la produzione di tutte le principali specie di tartufo.
Si distinguono le seguenti aree tartufigene:
- per il gruppo dei Tartufi Neri in provincia de L'Aquila si parte da Sud della Val Roveto passando sugli altopiani della Marsica (Luco e Gioia dei Marsi, Scanno, Pescasseroli) compresa la zona del Fucino (Avezzano e Pescina), la Conca dell'Aquila (Fagnano, Celano, Magliano dei Marsi, Monte Velino) sino alle pendici del Gran Sasso (Scoppito è il centro più rinomato situato ad Ovest de L'Aquila).
Altre importanti zone tartufigene sono la Conca di Capestrano (Sud-Est tra il Gran Sasso e la Maiella), la Valle Peligna (a Nord di Sulmona) e l'Altopiano dei Navelli.
Molto importante è la produzione di Tartufo Bianco Pregiato della Val di Sangro (a sud della Maiella) dal comune di Castel di Sangro a scendere lungo i corsi dei fiumi Sangro e Trigno toccando i comuni di Rosello, Borrello, Pizzoferrato, Quadri, Torrebruna, Carunchio, questi ultimi in provincia di Chieti.
Altri comuni interessati alla produzioni di Tartufi Neri in provincia di Chieti sono Casoli, Guardiagrele, Fara S.Martino e Lama dei Peligni.
Negli ultimi due comuni si ritrova principalmente Tartufo Nero Pregiato.
In provincia di Pescara si raccolgono diversi tipi di tartufo; ricordiamo le zone lungo il fiume Pescara partendo da Popoli e Bussi sul Tirino fino ad arrivare a tutte le zone collinari.
I centri più importanti sono Loreto Aprutino, Penne. Infine per quanto riguarda la Provincia di Teramo altra importante realtà tartufigena (si raccoglie in quasi tutto il territorio della Provincia) ricordiamo i centri più importanti: Campli, Teramo, Montorio al Vomano ecc..

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Tartufo - Principali specie

 


Principali specie tartufigene

TARTUFO BIANCO PREGIATO

(Tuber magnatum Pico)

Diffusione
: Si trova per la maggior parte solo in Italia.
Areale di coltivazione: Limitato; poche sono le zone vocate per una coltivazione ottimale. E' il tartufo più pregiato ed, in assoluto, il tartufo più difficile da coltivare e di più lunga aspettativa. Anche se l'impianto viene effettuato dopo attente ed approfondite ricerche preliminari, non sempre la tartufaia fornisce risultati produttivi soddisfacenti. E senz'altro da rivedere e mettere a punto la tecnica di coltivazione.
Valore Commerciale: Elevato; ciò è dovuto alla forte richiesta di mercato, alla produzione limitata ed alla bassa conservabilità del prodotto.
Epoca di raccolta: Settembre - Dicembre.


TARTUFO NERO PREGIATO
(Tuber melanosporum Vittad.)


Diffusione
: Viene prodotto e raccolto quasi esclusivamente in Italia, Francia e Spagna.
Areale di coltivazione: Diverse sono le zone vocate per la sua coltivazione. E' considerato il tartufo più interessante per la Tartuficoltura.
Valore Commerciale: Alto, grazie alle ottime caratteristiche organolettiche ed ai diversi tipi di impiego culinario. Richiesta di mercato in costante aumento con prezzi sostenuti.
Epoca di raccolta: Novembre - Marzo.

SCORZONE
(Tuber aestivum Vittad.)

Diffusione: Viene prodotto e raccolto in diversi paesi Europei anche se le aree più vocate si trovano in Italia, Francia e Spagna.
Areale di coltivazione: Sono diffuse le aree vocate per la sua coltivazione. E', sicuramente, uno dei tartufi più facili per la coltivazione artificiale.
Valore Commerciale: Pur avendo una quotazione di mercato medio-bassa, la produttività delle tartufaie consente di raggiungere soddisfacenti risultati economici. Utilizzato abbondantemente dall'industria di trasformazione. Richiesto dal mercato fresco, essendo l'unico tartufo a maturazione estiva.
Epoca di raccolta: Giugno - Settembre


TARTUFO BIANCHETTO O MARZUOLO
(Tuber borchii Vittad.)


Diffusione: Viene prodotto e raccolto in diversi paesi Europei.
Areale di coltivazione: Tante sono le zone vocate per la sua coltivazione. È uno dei tartufi più facili da coltivare. Si raccoglie dai 1500 m slm sino alle pinete dei nostri litorali.
Valore Commerciale: Quotazione discreta per la produzione precoce, sufficiente per la produzione tardiva, Il Marzuolo è un Tartufo utilizzato dall'industria di trasformazione e richiesto dal mercato fresco.
Epoca di raccolta: Gennaio - Aprile.


TARTUFO UNCINATO

(Tuber uncinatum Chat.)

Diffusione: Viene prodotto e raccolto quasi esclusivamente in Italia e Francia.
Areale di coltivazione: Rispetto allo Scorzone estivo, le zone vocate per la sua coltivazione sono più limitate. L'Uncinato è un tartufo emergente; l'elevata pezzatura dei tuberi consente buone rese produttive e soddisfacenti risultati economici.
Valore Commerciale: Dotato di buone caratteristiche organolettiche, la sua richiesta è in costante aumento sia sul mercato interno che estero.
Epoca di raccolta: Settembre -Dicembre.

 

 

 

Tartufo - Specie Simbionti

 


• Roverella
• Farnia
• Cerro
• Leccio
• Carpino Nero
• Nocciolo
• Tiglio Nostrano
• Tiglio Selvatico
• Pino Domestico


ROVERELLA (Quercus pubescens Willd.)

Presenta dimensioni più ridotte rispetto alle altre querce caducifoglie (rovere, farnia, cerro), raggiungendo al massimo altezze di 20-25 metri. Il fusto è breve, spesso contorto, mentre la chioma è ampia, emisferica o compressa, per lo più irregolare e non molto densa. I rametti di uno e due anni sono provvisti di un feltro denso di peli biancastri. Le foglie, alterne, semplici e caduche, presentano sulla pagina inferiore una fitta lanugine biancastra, mentre nella pagina superiore appaiono glabre e di colore verde. Le piante giovani si riconoscono facilmente in inverno per la presenza di foglie secche di colore marrone chiaro che rimangono attaccate ai rami. I frutti, portati in gruppi da peduncoli brevi e pelosi, sono costituiti da una ghianda (achenio) protetta per metà da una cupola di forma emisferica provvista di scagliette appressate. L'apparato radicale è molto robusto e sviluppato, e provvisto di una radice principale nettamente fittonante. La roverella forma spesso ibridi con altre specie di querce, e per questo talvolta la sua identificazione risulta difficoltosa. E' una specie submediterranea; il suo areale gravita principalmente nella parte meridionale del continente europeo. Nella penisola è presente nelle zone di collina e di bassa montagna ed è frequente anche in Sicilia ed in Sardegna; in particolare è la quercia più diffusa nelle zone aride e calcaree ai piedi delle Alpi e nell'Appennino settentrionale e centrale. La roverella è una specie eliofila, termofila e xerofila, molto diffusa nei pendii caldi e soleggiati, dal livello del mare fino ai 1100 m di altitudine. Si ritrova nei terreni più svariati, ma manifesta comunque una particolare preferenza per i terreni marnosi e calcarei, anche aridi e rocciosi. Per quanto riguarda l'impiego a fini economici, la roverella assume importanza prevalentemente come legna da ardere. Per quanto concerne invece la vocazione tartufigena, allo stato naturale contrae la simbiosi con quasi tutte le specie di tartufo presenti sul nostro territorio, comprese le specie più pregiate. Si ritiene comunque importante sottolineare che la roverella trova la propria elezione produttiva con il gruppo dei tartufi neri, in particolare con il tartufo nero pregiato, con il tartufo scorzone e con l'uncinato.

FARNIA (Quercus robur L. - Quercus peduncolata Ehrh.)
Presenta anch'essa notevoli dimensioni, raggiungendo i 35 m ed oltre di altezza ed i 2 m di diametro; risulta inoltre particolarmente longeva. Il fusto robusto, si ramifica presto per formare una chioma ovata, molto ampia e irregolare. Le foglie, alterne, semplici e caduche, sono simili a quelle della roverella ma più grandi e perfettamente glabre, strette alla base. La farnia si distingue facilmente per le ghiande (acheni) portate da un lungo peduncolo (2-7 cm), da cui il nome di Quercus peduncolata con il quale spesso tale specie viene indicata. L'areale della farnia si estende a gran parte dell'Europa, dalla Scandinavia meridionale e dalla Russia fino al Mediterraneo. In Italia si ritrova in tutte le regioni, ad eccezione della Sardegna. Soprattutto negli areali di pianura. E' molto esigente per quanto concerne l'umidità del suolo. Resiste bene ai freddi invernali, predilige i terreni freschi, fertili e profondi, non troppo compatti. E' una specie eliofila, particolarmente nella fase giovanile. Risulta un'ottima pianta simbionte per il tartufo.

CERRO (Quercus cerris L.)
Albero di grandi dimensioni, fino a 35 m di altezza e circa 1-1,5 m di diametro, e di notevole longevità. Il cerro è caratterizzato da un fusto diritto e slanciato e da una chioma ovale, allungata, di media compattezza. Molto caratteristico e di facile riconoscimento è il frutto, una ghianda (achenio), normalmente di dimensioni superiori a quelle delle altre querce del nostro territorio (lunga fino a 3 cm), protetta per circa la metà o i due terzi da una cupola emisferica, provvista di brattee lunghe, tomentose e sporgenti in fuori. Il cerro ha un areale più ristretto della roverella che si estende prevalentemente nell'Europa meridionale e orientale. In Italia è relativamente raro lungo l'arco prealpino e nella valle Padana, mentre è molto diffuso nelle aree collinari e submontane comprese tra i 500 e i 1100-1200 metri di altitudine. Preferisce terreni profondi, fertili e poco aridi, di natura silicea, ma si adatta anche a quelli argillosi. Non disdegna i suoli calcarei subalcalini ricchi di calcio. I tartufi che più spesso si riscontrano in simbiosi con il cerro sono il tartufo bianco, il tartufo scorzone, il tartufo uncinato, il tartufo brumale e il tartufo nero pregiato in alcuni areali.

LECCIO (Quercus ilex L.)
E' un albero di dimensioni più modeste rispetto alle specie descritte in precedenza. Può comunque superare i 20 m di altezza e presentare diametri alla base talvolta superiori al metro. Spesso si presenta però in forma di cespuglio o di piccolo albero. Si distingue per la notevole longevità, in quanto può superare l'età di 1000 anni. Il fusto è poco elevato, possente, mentre la chioma è densa e di colore verde scuro, ha la forma più o meno ovale. Le foglie sono persistenti (durano sulla pianta 2-3 anni), semplici, alterne, di colore verde scuro lucente nella pagina superiore e bianco tomentose in quella inferiore. E' una specie tipica del bacino del Mediterraneo. E' la quercia sempreverde più diffusa in Italia centrale e rappresenta l'albero tipico del clima e della vegetazione mediterranea. Si trova principalmente nelle isole, lungo la fascia costiera ed anche nell'Appennino centro-meridionale, dove, in casi particolari, può raggiungere e superare i 1000 metri di quota. E' una pianta termo-xerofila, legata ad ambienti con estate lunga e calda. La sua distribuzione è condizionata dalla sua scarsa resistenza ai forti abbassamenti di temperatura, anche in stato di dormienza. Si adatta a quasi tutti i tipi di terreno, ad eccezione di quelli sottoposti a frequenti ristagni di umidità. Vive in simbiosi con svariate specie di tartufi; risulta in particolare un'ottima pianta simbionte per i tartufi neri (tartufo nero pregiato, tartufo scorzone, tartufo uncinato, tartufo brumale), nonché per il tartufo bianchetto.
Il leccio è una specie che può contrarre la simbiosi anche con il tartufo bianco pregiato.

CARPINO NERO (Ostrya carpinifolia scop.)

E' un albero di medie dimensioni, che difficilmente supera i 15 metri di altezza. Si distingue per il fusto diritto, a sezione circolare e per la chioma conico allungata e raccolta. Il suo areale comprende soprattutto i Balcani e l'Asia Minore. In Italia si trova in tutto il basso arco alpino ed in tutto l'Appennino. E' una specie termofila, con temperamento intermedio nei riguardi della luce. Non risulta particolarmente esigente nei confronti del terreno; è diffuso nei suoli calcarei o calcareo marnosi, anche compatti. E' una specie molto rustica e adattabile a diverse condizioni pedoclimatiche, non tollera però i ristagni d'acqua. Può unirsi in simbiosi con numerose specie di tartufo, fra le quali il tartufo bianco, il tartufo nero pregiato, il tartufo scorzone, il tartufo uncinato, il tartufo brumale, il tartufo moscato, il tartufo mesenterico, etc..

NOCCIOLO (Corylus avellana L.)

Il nocciolo è una specie arbustiva che può raggiungere i 4-7 m di altezza e che è caratterizzato, rispetto ad altre specie arboree, da una minore longevità (60-70 anni). Cresce rapidamente nei primi anni, ramificandosi fin dalla base in più fusti, successivamente sostituiti da nuovi getti. E' presente in quasi tutta l'Europa, in Asia Minore ed in Africa settentrionale. In Italia si trova un po' ovunque, in una fascia altitudinale per lo più compresa fra i 600 e i 1700 metri. E' comune nei boschi misti di latifoglie situati in collina e in montagna, soprattutto in quelli trattati a ceduo. Si trova spesso anche nei boschi di fondovalle insieme ai pioppi, ai salici, al carpino bianco, alla farnia, etc. Il nocciolo si adatta a suoli di natura diversa pur preferendo i terreni profondi e freschi, caratterizzati da una certa umidità anche nel periodo estivo. E' una specie molto resistente alle basse temperature e necessita di un prolungato periodo di freddo per uscire dalla dormienza. Tollera inoltre piuttosto bene l'ombra. Il nocciolo naturalmente può contrarre la simbiosi con vari tartufi, fra i quali ricordiamo i tartufi pregiati, il tartufo scorzone, il tartufo uncinato, il tartufo brumale, il tartufo moscato, il tartufo bianchetto.

TIGLIO NOSTRANO (Tilia platyphyllos Scop.)
TIGLIO SELVATICO (Tilia cordata Mill.)

Il tiglio nostrano
si distingue per le dimensioni piuttosto elevate (fino a 30-35 m di altezza e circa 2 m di diametro alla base), per la chioma ampia, piramidale, ramosa e densa, e per il fusto slanciato e diritto. I rami sono più o meno densamente ricoperti di peli e spesso presentano tonalità rossastre. Le foglie, piuttosto grandi, semplici, alterne, caduche, sono di forma ovata e bruscamente acuminate all'apice, con margini doppiamente dentati e base asimmetricamente cordata. La pagina superiore è glabra o glabrescente e di colore verde intenso, mentre la pagina inferiore si presenta di colore verde pallido, con ciuffi di peli bianchi all'ascella delle nervature. Il picciolo, è anch'esso peloso. I frutti sono portati in gruppi su un peduncolo saldato per un certo tratto con una brattea fogliacea che si libera all'estremità. Appaiono molto grossi, di colore grigiastro, a parete spessa e con cinque coste sporgenti. Affine al tiglio nostrano, il tiglio selvatico si distingue principalmente dal primo per le foglie più piccole, glabre, con superficie inferiore glauca, entrambe presentano un areale piuttosto vasto; quello del tiglio nostrano comprendente soprattutto l'Europa centrale e meridionale e quello del tiglio selvatico l'Europa centrale e Nord-orientale. In Italia si ritrovano allo stato naturale nelle Alpi e negli Appennini, dove comunque non sono molto diffusi in bosco. Il tiglio nostrano si localizza principalmente nelle zone di montagna, fino a 1200 m di quota. li tiglio selvatico, di comportamento simile, nelle regioni settentrionali tende però a prediligere maggiormente le zone collinari. Sia il tiglio nostrano che il tiglio selvatico preferiscono terreni freschi, profondi ed umidi. Il tiglio selvatico rispetto al tiglio nostrano richiede più calore estivo, è più resistente all'aridità e meno esigente per quanto riguarda i nutrienti. Le due specie spontanee di tiglio, sopra menzionate possono produrre allo stato spontaneo molte specie di tartufo. Più frequentemente i tigli si trovano in simbiosi con il tartufo bianco, il tartufo scorzone, l'uncinato e con il tartufo bianchetto.

PINO DOMESTICO (Pinus pinea L.)

Questa conifera sempreverde si riconosce facilmente per il portamento inconfondibile, dovuto alla particolare forma ad ombrello che la chioma assume a maturità (nelle piante giovani è più globosa). Di dimensioni elevate (può raggiungere i 30 m di altezza e anche i 2 m di diametro). Gli strobili (pigne), di forma ovato-rotondeggiante, con diametro di 10-12 cm, contengono semi provvisti di un involucro legnoso (pinoli) e ricoperti da una polvere nera. Il suo areale comprende il Mediterraneo settentrionale, dalla penisola iberica all'Anatolia. E' diffuso nell'area mediterranea di quasi tutta la penisola italiana. L'area di vegetazione naturale ed artificiale si estende dalle zone costiere fino a 500-600 m di altitudine al limite Nord dell'areale, mentre a Sud e nelle isole può raggiungere gli 800-1000 m di quota. E' poco esigente nei riguardi del terreno, vegetando quasi ovunque, ad eccezione dei terreni troppo calcarei e compatti ed eccessivamente acquitrinosi. Trova comunque il suo optimum sui suoli sabbiosi e freschi. E' una specie termofila, eliofila e tollera poco i venti marini. E' una specie che si ritrova in simbiosi prevalentemente con il tartufo bianchetto e scorzone.

Tratto da " I Tartufi in Toscana " (Baglioni F. - Gardin L. - Gregori E. - Lulli L. - Mazzei T. - Nocentini G. - Sani L.) A.R.S.I.A. Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l'innovazione nel Settore Agricolo-Forestale. Casa Editrice Compagnie delle Fauste - Arezzo. Luglio 1998.

 

 

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